I Livelli Logici di R.Dilts e il Training per Attori secondo Beatrice Bracco
Verso un’educazione emotiva
La mia esperienza personale in meta posizione
o altra posizione rispetto all’io narrativo
che lascia il posto alla terza persona.
Dallo schema, che non a caso è messo in piramide, dato che la sua base incide sull’apice e viceversa, si comprende come si impara o nel mio caso disimpara ad essere ciò che vogliamo essere, che è dato non solo da voler avere certi valori, ma dalla scala di importanza che noi attribuiamo ad essi nella nostra vita, ma questa è un’altra storia.
Cerchiamo di analizzare cosa può essere successo a quella bimbetta, come affettuosamente la chiamava la mia analista nei tre anni di terapia junghiana, che niente ha potuto contro la mia ferrea volontà a continuare a capire senza voler sentire [2].
Quando nulla si sa sulla meta posizione, che in PNL “è un mezzo per applicare un processo autoreferenziale in modo da facilitare i cambiamenti e la crescita psicologica. Nella meta-posizione ci si dissocia da e poi ci si volge indietro per riflettere sui propri pensieri, sulle proprie azioni e interazioni al fine di guadagnare nuove intuizioni e comprensioni che aiutino ad agire più efficacemente.”[3], l’unico sistema che si ha per imparare è reagire all’emozione/sensazione “negativa” che limiti e coercizioni ci provocano e che provengono dall’ambiente e dal vivere sociale, con nuovi comportamenti nella speranza che quella sgradevolezza svanisca, poiché ci è ancora ignaro cosa vi sia all’apice della piramide e in quale modo sia possibile compierne il processo opposto.[4]
Il modo in cui percepiamo l’ambiente non è, come molti pensano, cognitivo, ma emozionale[5]: un fatto esterno viene prima sentito (percepito con i sensi), poi valutato emozionalmente se gradito o non gradito (comparato con la catena di esperienze precedenti), poi rielaborato, cioè agganciato alla catena di concetti (codificato in simboli utilizzabili), poi finalmente “giudicato” e “noi categorizziamo idee e informazioni secondo le caratteristiche fisiche registrate dai nostri sensi”[6]. Goleman poi, ne fa un fatto neuronale. Le emozioni primarie dipendono dai circuiti del sistema limbico e, in primo luogo, dall’amigdala. Essa è programmata per inviare chiamate di emergenza in caso di pericolo, il guaio però è che è poco precisa e basta un elemento chiave simile a una passata situazione che è stata registrata dai nostri sensi come pericolosa, per far si che bypassi la neocorteccia, dove le azioni vengono programmate e organizzate in vista di un obiettivo, eseguendo dei veri e propri sequestri emozionali, e organizzando delle modalità di reazione che possono essere superate e non pertinenti alla situazione contingente che ormai non ha più nulla da condividere con quella passata.[7] L’educazione che si fissa prevalentemente sul livello cognitivo, come è di prassi nelle scuole, è sempre un’educazione parziale perché trascura il fatto che, il livello cognitivo poggia pesantemente sul livello emozionale (proprio in senso epigenetico). Solo un’educazione emozionale può tenere a bada l’amigdala riportandola a quei circuiti “normali” capaci di trovare un’armonia tra mente e cuore.
Ma certo negli anni settanta, quando questi studi erano ancora agli albori, io non potevo certo pretendere che la scuola me ne impartisse una anche se già Pascal diceva:
“Tutto il nostro ragionamento si riduce a cedere al sentimento. Ma la fantasia è simile e contraria al sentimento, di modo che non si può distinguere tra questi contrari. L’uno dice che il mio sentimento è pura fantasia, l’atro che la sua fantasia è sentimento. Bisognerebbe avere una regola. La ragione si offre, ma è pieghevole in tutti i sensi; così non si ha nessuna regola.
Gli uomini scambiano spesso la loro immaginazione per il loro cuore e credono di essere convertiti dal momento che pensano di convertirsi…
Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce; lo si constata in mille cose. Dico che il cuore ama l’essere universale e se stesso naturalmente, a seconda che si attacchi all’uno o all’altro; e si indurisce contro l’uno o contro l’altro, a sua scelta. Voi avete respinto l’uno e conservato l’altro: è forse per ragione che amate voi stessi?
Noi conosciamo la verità, non solamente con la ragione, ma anche con il cuore… ed è su questa conoscenza del cuore e dell’istinto che la ragione deve fondarsi, e fondarvi ogni suo discorso…”[8]
E dunque la bimbetta piena di sani valori si affacciava al mondo, ma i suoi comportamenti non erano adeguati nel dove e quando e questo le provocava sofferenza. Sentiva di non essere accettata nella sua identità, confondeva quest’ultima con i suoi comportamenti. E lei voleva essere accettata e amata, cambiava i suoi comportamenti, senza quella flessibilità che permette di fare la cosa giusta per ottenere l’obiettivo senza allontanarsi da se stessi, sfornita della consapevolezza dell’errore come opportunità e di quell’eroica volontà di continuare a credere in se stessi trovando il come, il dove e il quando giusto per potersi esprimere. Trasformava l’originaria fame di contatto fisico in fame di riconoscimento sociale e il bisogno d’amore subito, tipico dei bambini, mancando della capacità di rimandare la gratificazione, la conformava ai valori del vivere comune, senza passione né missione. Cominciava ad accettare compromessi, non allineati con i suoi valori, finché l’uno dopo l’altro finiva per cambiarli quei valori. Svaniva il coraggio, faceva il suo ingresso la paura che blocca l’azione, sceglieva ciò che era giusto per gli altri, nella speranza di non sbagliare e aumentava la sua disistima. Si conformava alla media delle attese evitando la frustrazione del sostenere le proprie opinioni, ancora incapace di una comunicazione efficace. Era spesso soggetta a rapimenti emotivi che impedivano la risoluzione dei conflitti, con entrambe gli attori vincenti.[9] Ogni scontro una ferita emozionale, ogni feedback comprovava la sua inadeguatezza, non sapeva scegliere i suoi mentori. E avviandosi su quella strada del conformismo, che si accontenta di soddisfare i bisogni fisiologici come realizzazione di un’intera vita, aveva perso la direzione, tutti i suoi valori erano svaniti, e non trovava più un permesso motivazionale alla sua esistenza. L’unica certezza era che non sarebbe “mai” cambiata la sua condizione di vittima del mondo e di se stessa, ancora non conosceva cosa volesse dire meta modello dove il mai in assoluto non esiste.
Troppe erano la colpe da scontare, a chi avrebbe dovuto chiedere perdono?
La fortuna è stata: che era finalmente giunta all’apice della piramide portando con sé:
- Un valore, l’impegno con cui si applicava a tutte le cose che faceva, nella certezza mai abbandonata che per prima la soddisfazione dovesse essere la sua.
- Un bisogno superiore, la crescita, nel dubbio che se non era quello che pensava di essere allora doveva scoprire chi fosse.
L’impegno nelle varie crisi che l’hanno portata all’apice della piramide, ha mantenuto in lei vivo il gusto della vita. “…la caratteristica del flusso è una sensazione di gioia spontanea, perfino di rapimento. Poiché il flusso ci fa sentire così bene, esso è di per stesso gratificante. Si tratta di uno stato in cui la consapevolezza si fonde con le azioni e nel quale gli individui sono assorbiti in ciò che stanno facendo e prestano attenzione esclusivamente al loro compito…In questo senso, i momenti di flusso sono privi di ego…Sebbene l’individuo in uno stato di flusso dia prestazioni al massimo livello, non è mai preoccupato di far bene, non indugia a pensare al successo o al fallimento: il puro e semplice piacere basta a motivarlo.”[10]
La crescita, l’ha sempre portata ad interrogarsi e a sviluppare, in tutti i modi possibili, quelle caratteristiche che quando è arrivato il Maestro hanno fatto sì che l’allieva fosse pronta.
Il training per attori
“La recitazione è un modo di mantenere vive le parole che una persona usa
per caratterizzare se stessa o qualcun altro.
Mantenendo il nostro linguaggio collegato all’azione
possiamo avere la sensazione del cambiamento e della crescita”[11]
L’esperienza di educazione emotiva più importante che ha fatto, anche se non sapeva a cosa si stesse educando e pensava che il suo obiettivo fosse di fare l’attrice, è stata quella di ottenere il diploma al Centro internazionale di formazione per attori di Beatrice Bracco[12]:
” il lavoro che da venti anni svolgo insieme ai miei allievi ha come obiettivo quello di condurli, in quanto attori, non a “recitare” ma a vivere l’esperienza del personaggio sul palcoscenico senza chiudere, come spesso accade per mancanza di fiducia, i canali dell’esperienza stessa e cioè i propri sensi, la propria emotività… Un attore deve scoprire che sul palco può vivere e non solo sopravvivere: invece che dare spazio alla paura di non funzionare è necessario nutrire la gioia di creare. È importante, per essere presente sul palcoscenico, sviluppare il processo creativo attraverso l’autoconoscenza che parte dalla centralità e dall’osservazione; intendo quest’ultima non nel senso di mera elaborazione mentale, che ci allontana inconsapevolmente dalla percezione, ma come un mettersi in ascolto di sé, degli altri e della vita stessa. Affidarsi all’esperienza, a ciò che è qui ed ora in movimento, richiede un training disciplinato e specifico che faccia acquistare fiducia al corpo stesso dell’attore, ne riduca le tensioni e apra i suoi canali facendogli desiderare il rischio del “non sapere” piuttosto che soffrirne. I cambiamenti che un attore opera su di sé, quando nel corso del training accetta di entrare in un processo vivo, di esserne spiazzato, senza anticipare le risposte ma anzi elaborandone di nuove, sono evidenti… la vera creatività è scoperta e, per scoprire, dobbiamo lasciare che la realtà ci venga incontro, ci sorprenda, ci abiti, affinché, man mano che noi creiamo, essa ci crei. Questo diventa possibile solo se la nostra apertura è totale… Mi piace ricordare le parole di Stanislavskij “gli artisti che non vanno avanti, vanno indietro”[13]
L’impegno che ci ha messo e gli otto anni che ci si è dedicata le hanno insegnato tutte le strategie utili per vivere il personaggio.
Per far questo si è dovuta riprogrammare[14], e il “training” impone che questo avvenga nuovamente dalla base della piramide.
Focus: Essere un bravo attore
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Imparava tecniche di PNL e si educava emotivamente senza esserne conscia, applicava l’allineamento dei livelli per imparare a diventare qualcuno diverso da lei.
Aveva, dunque, intuito la grandezza dell’allineamento dei livelli, anni prima di comprenderlo. Era già arrivata all’apice della piramide, ed era anche riuscita a compierne il processo inverso quando superando il cuore della scena era arrivata a comprendere la missione del personaggio di Misery non deve morire che inevitabilmente a cascata aveva coinvolto tutti i livelli della piramide determinando quello che è stato uno dei suoi più grandi successi. Eppure, nonostante negli anni avesse interpreto i ruoli il più possibile diversi da lei, nella speranza, di comprenderne il cuore e arricchirne così la sua mappa del mondo, i risultati nella sua vita erano a breve termine. Come avverte Dilts se non si cambia a livello di identità e di percezione di se stessi, se non si porta avanti una missione con passione e speranza, le fonti di motivazione che vengono attivate nel nostro cervello quando attingiamo ai nostri sogni, le vecchie abitudini e i vecchi percorsi neuronali hanno il sopravvento, perché come sostiene Goleman “per rimanere concentrati sull’obiettivo occorrono impegno e rinforzo costante”[15]
E difatti lei era cambiata:era diventata un’attrice capace.
Il focus, l’obiettivo era stato raggiunto, le domanda che si poneva per interpretare un personaggio era corretta e specifica, la qualità della tua vita dipende dalle domande che ti poni.[16]
Lei si chiedeva, per esempio: “come si comporta e quali sono le azioni che compie una persona “ricca e famosa”[17] e sicura di se stessa?”
Quello che le impediva di traslare ciò che aveva imparato nella sua vita personale e diventare la persona che voleva essere era: non vedere l’intima struttura del meccanismo nel suo insieme (ancora una volta didattica della meta cognizione) e l’impossibilità, dunque, di fare un cambio di focus: diventare un essere umano felice, e di allineare la sua persona rispetto alla realizzazione della sua visione, poiché come dice Dilts.”gli stessi principi possono essere applicati allo sviluppo organizzativo e alla leadership di livello macro”[19] o alla formazione di gruppi (gruppo classe) e gruppi di lavoro giacché: “…una percezione comune e condivisa della visione, della missione, dei valori e delle capacità…costituisce indubbiamente il fondamento del cosiddetto “spirito” di gruppo.”[19]
Stava cercando le risposte ai quesiti fondamentali della vita nel posto sbagliato, anche se il percorso le ha fornito strumenti e tecniche adatti, che la stessa PNL ha mutuato, in questo caso lei stessa inconsciamente,[20] dal teatro. Ma se la realtà è complessa e non ha confini prestabiliti, compenetrandosi e dividendosi in un’eterna evoluzione, cosa importa da dove vengono le risposte purché funzionino.
Allineamento dei livelli di pensiero
in “Misery non deve morire”
L’interpretazione di Anni, protagonista di “Misery non deve morire, film del 1990, diretto da Rob Reiner e tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, per una mente che non conosceva ancora la struttura di Dilts, è stata una ricerca continua e priva di limiti, con una formulazione costante e quasi ossessiva di domande, che si è conclusa con l’illuminazione che ha reso possibile, anche dopo vent’anni, a chi aveva frequentato quel corso insieme a lei di averne ancora memoria.
La sfida era interessante si era chiesta di diventare Anni, qualcosa che non sarebbe mai potuta essere: una serial killer, omicida di bambini.
Il lavoro era cominciato dallo studio del personaggio, era stato letto il libro, visto il film, imparata la parte, ricreato l’ambiente in cui avveniva l’azione.
Sensorialmente: aveva ricostruito l’emozione di una donna sola, provato sulla time line giorno, dopo giorno, cosa volesse dire non vedere nessuno. Ricreata la sensazione di trovarsi in un posto freddo e coperto la maggior parte dell’anno dalla neve, di questa saggiata la consistenza e percepita la temperatura sulla pelle.
Immaginato e ricreato il suo passato per averne memoria nei comportamenti. Aveva ucciso, ucciso cuscini su cuscini, ma la disgustava solo l’idea che potessero essere bambini, e più tentava di avvicinarsi al personaggio più tutto il suo essere lo rifiutava.
Continuava a ripetersi: “c’è sempre una giustificazione plausibile nella mente di chi compie l’azione anche la più terribile”, così come insisteva la Bracco.
Anni dopo avrebbe scoperto che si chiamava intenzione positiva, ma non era in grado di trovarla.
E allora tornava ai sensi ricreando rumori insopportabili che potessero provenire da quei bambini e che potessero farle perdere la ragione desiderando di ucciderli, ma nulla.
Ripeteva azioni professionali e meticolose come se fosse un’infermiera e ne imparava le abilità.
Eppure le sembrava che fosse tutto poco credibile, non le rimaneva che aver fiducia che tutto quel lavoro bastasse per ottenere una buona interpretazione della scena.
Stava aspettando il suo turno, si sentivano gli applausi della scena precedente che era appena terminata, girava nel chiostro del convento sconsacrato, dove si svolgeva il seminario, concentrata, ancora lavorando sull’ultima ipotesi che aveva formulato su Anni, che fosse un’autolesionista, quando provò a schiaffeggiarsi.
Ecco, miracolosamente, il salto di livello, la missione[21], Anni era la mano di Dio per liberare il mondo da tutta quella sofferenza, da tutta quella solitudine, non avrebbe potuto fare altrimenti, doveva salvare Misery. Il personaggio del suo libro preferito doveva vivere per alleviare il dolore di tutte quelle donne che in lei vedevano il loro riscatto, e la lettura svagava da quel dolore insopportabile di un matrimonio fallito, senza più speranze verso un futuro, anche se questo avesse dovuto significare ucciderne il suo autore, il suo più grande amore, di cui era la più grande fan.
Anni era dunque un angelo della morte o della misericordia[22], che uccide per alleviare il dolore alle sue vittime, così come aveva fatto con quei bambini che le erano stati affidati e per i quali, ormai, la sofferenza della vita era terminata[23].
La missione ha dato il permesso motivazionale alla sua identità, convalidato i suoi valori come giusti, approvandone capacità e comportamenti e così tutti i registri sensoriali che il lavoro aveva risvegliato, allineati, hanno contribuito al successo della scena.
La sua insegnate, dopo anni di frustrazioni e insuccessi, in cui però la costanza e i feedback le avevano permesso di migliorare lentamente e inesorabilmente in direzione del suo obiettivo, le disse: “Finalmente il mio uccellino sta prendendo il volo” e così fu, migrò verso nuovi lidi, confermò le cose che aveva imparato, per le quali continua ad esprimere la sua gratitudine, nella convinzione/certezza, considerando il punto da cui era partita, che tutto si può imparare basta che lo si voglia.
Ora la questione era che lei si accorse di non volere essere un’attrice, ma un essere umano felice, non era nel posto giusto.
[1]Dilts R, I Livelli di pensiero, Alessio Roberti Editore, Bergamo 2004, schema rivisitato p.7
[2]Jung Carl Gustav, Anima mia, salvami dal drago, Domenica Il Sole 24 Ore, 17 ottobre 2009 “La visione dell’alluvione mi sopraffece e percepii lo spirito del profondo, senza tuttavia comprenderlo. Esso però mi forzò causandomi un insopportabile, intimo struggimento, e io dissi: «Anima mia, dove sei? Mi senti? …Vuoi che ti racconti tutto ciò che ho visto, vissuto, assorbito in me? Oppure non vuoi sentire nulla di tutto il rumore della vita e del mondo? Ma una cosa devi sapere: una cosa ho imparato, ossia che questa vita va vissuta. Questa vita è la via, la via a lungo cercata verso ciò che è inconoscibile e che noi chiamiamo divino. Non c’è altra via. Ogni altra strada è sbagliata. Ho trovato la via giusta, mi ha condotto a te, anima mia. Ritorno temprato e purificato.” …Non credevo che la mia anima potesse essere l’oggetto del mio giudizio e del mio sapere; il mio giudizio e il mio sapere sono invece proprio loro gli oggetti della mia anima… Approda al luogo dell’anima colui il cui desiderio si distoglie dalle cose esteriori. Se non la trova, viene sopraffatto dall’orrore del vuoto…La sua anima si trovava certo nelle cose e negli uomini, tuttavia colui che è cieco coglie le cose e gli uomini, ma non la propria anima nelle cose e negli uomini. Nulla sa dell’anima sua. Come potrebbe distinguerla dagli uomini e dalle cose? La potrebbe trovare nel desiderio stesso, ma non negli oggetti del desiderio. Se lui fosse padrone del suo desiderio, e non fosse invece il suo desiderio a impadronirsi di lui, avrebbe toccato con mano la propria anima, perché il suo desiderio ne è immagine ed espressione…Ma la fame trasforma l’anima in una belva che divora cose che non tollera e da cui resta avvelenata. Amici miei, saggio è nutrire l’anima, per non allevarvi draghi e diavoli in seno.”
[3] Dilts R., Il potere delle parole, op.cit,.p.237
[4] Ecco perché la piramide egizia è stata per me e per i bambini ai quali ho insegnato motivo di meta riflessione su bisogni e valori dell’uomo, che hanno diretto la storia in un modo piuttosto che in un altro, come l’homo erectus ci era servito per analizzare il bisogno che l’uomo ha di soddisfare in primis i suoi bisogni fisiologici, motivo per cui ha assunto la sua posizione eretta. Queste riflessioni ci hanno permesso di avventurarci oltre, cercando di capire cosa spinge l’uomo verso l’autorealizzazione. Ci siamo soffermati dunque su quel principio guida, via dal dolore verso il piacere, che porta l’uomo, dopo aver acquisito le competenze volontà, impegno nonché la capacità di rimandare le gratificazioni e quindi progettare a lungo termine, a rendere quel piacere duraturo trasformandolo in piacere di vivere.
[5]Greenspan S. I., L’intelligenza del cuore, le emozioni e lo sviluppo dell’intelligenza, Mondatori, MI, 1997, cap:2-5. Lo studioso descrive, in base alle ricerche sopra un grande numero di neonati seguiti nella loro crescita, sei livelli di maturazione emotiva. Per comodità del lettore ne presento almeno i nomi, rimandando al libro già spesso citato per la conoscenza specifica:
– I Livello: dare un senso alle emozioni;
– II Livello: intimità e relazioni;
– III Livello: primi germi della intenzionalità (preverbale);
– IV Livello: scopo e interazione (nascita del Sé preverbale);
– V Livello: Immagini, idee, simbli;
– VI Livello: il pensiero emotivo.
[6]Idem p. 32.
[7]Goleman Daniel, Intelligenza emotiva, op.cit., cap.2
[8]Pascal B., Pensieri, Rusconi, Milano 1993, p. 263-264.
[9]Secondo una transazione, come vorrebbe Berne, del genere IO SONO OK – TU SEI OK che genera ottimismo, distensione, felicità, e con la capacità di contrattazione, la risoluzione del conflitto, senza perdenti.
[10] Goleman D., Intelligenza emotiva, op.cit,pp.118-119
[11]Polster I. e M., Gestalt Therapy Integrateci,, Brunner-Mazel, New York 1973, p. 245
[12]L’Acting Training di Beatrice Bracco è una delle più importanti scuole di recitazione dell’intero panorama Nazionale. Alla base del lavoro che propone c’è lo studio e la sua rielaborazione personale degli insegnamenti di Stanislvskij e di insegnanti e registi come Vactangov, Suler, Strasberg, Peter Brook, Growtowsky e l’approfondimento di discipline e pratiche diverse, dirette a trasformare l’energia, a favorirne l’espressione nell’emisfero destro del cervello e l’accesso al subconscio (Bioenergetica, Gestalt, Antroposofia, Taoismo, Tradizione Indio dell’America latina, Musica, Danza terapia e altre).
[13]Bracco Beatrice, sito personale, http://www.beatricebracco.it/
[14]Dilts R., Il potere delle parole e della PNL, op.cit., p.81 “Potremmo dire, per esempio, che la “difficoltà ad apprendere” è come un “difetto nel programma di un computer”. Questo ci porterebbe spontaneamente a porre domande del tipo: “Dov’è il guasto?”, “Qual è la sua causa e come può essere riparato?”, “Il problema viene da una particolare riga del programma? È nell’intero programma? È nel computer?”
[15]Goleman D & Boyatzis E. & Mckee A., Essere leader, Rzzoli, Milano 2002, p.179
[16]Robbins A., Come ottenere il meglio da se e dagli altri, Bompiani, Milano 2000, p.15,63,102,107 “Per imitare l’eccellenza dovrete trasformarvi in detective, in investigatori, diventare un individuo che fa un sacco di domande e che segue tutte le tracce che portano a ciò che produce l’eccellenza…
Si può ricostruire la sintassi mentale di chiunque, si può cioè aprire la combinazione della cassaforte della mente altrui e della propria pensando come un esperto di casseforti…
Bisogna, per questo, cercare cose che prima non si sono viste, prestare orecchio ad altre mai prima udite, sentirne tattilmente di mai prima sentite, e porre le domande che prima non si sapevano rivolgere…
Imparare a porre domande aiuta insieme a definire i propri obiettivi e a raggiungerli…
Rivolgete domande specifiche. Dovete descrivere quel che volete, sia a voi stessi che agli altri…
Con che tono, quanto a lungo, fino a che punto? Quando, dove, come, con chi?…
preferite sempre le domande relative al “come” rispetto a quelle relative al “perché”. Queste seconde possono fornirvi ragioni, spiegazioni, giustificazioni e scuse, ma di solito non vi mettono a disposizione utili informazioni.”
[17]Ricche e famose, film del 1981 diretto da George Cukor, con protagoniste Jacqueline Bisset e Candice Bergen, remake del film del 1943 L’amica, con Bette Davis e Miriam Hopkins.
[18] Ditls R., Leadership e visione creativa, Guerini e Associati, Milano 2000, p. 59
[19] Idem, p. 55
[20]Inconsciamente perché per quanto Bandler & Grinder in, La struttura della magia, dedichino molto spazio alla “ tecnica di recitazione (Perls, 1977) per recare assistenza nel processo di cambiamento”, p.66, non hanno una visione dell’arte in se della recitazione e del “Metodo”per apprenderla nel complesso, avendo analizzato di questa solo la parte che gli psicoterapeuti usano con i loro clienti. Condividono con me, invece, l’idea che tutte le tecniche sono valide purché siano efficaci, sottolineando che quelle che funzionano per una persona non è detto che siano altrettanto valide per un’altra che come soggetto unico e irripetibile ha i propri e preferenziali canali d’accesso aperti al cambiamento.
[21]Missione: il cuore della scena, qual è la motivazione che muove il personaggio in quella determinata direzione? Far cessare la sofferenza
[22] Identità: Chi? Angelo della morte
[23] Convinzioni/Valori: “Se uno soffre è giusto uccidere. Devo far cessare tutto questo dolore.”