Linguista e semioligia. Breve viaggio da Platone a Barthes via Bloomfield e Eco. Basi per comprenderne anche la struttura profonda in PNL.
26/04/2017 di Lorenza Dalloca
Il linguaggio
Significato, significante e significazione
Il significato per Whorf (“meaning”) è “intimamente connesso con la linguistica: il suo principio è il simbolismo, ma il linguaggio è il più grande simbolismo dal quale gli altri simbolismi traggono l’esempio”.9 Bloomfield definisce il significato di una forma linguistica come “la situazione in cui il parlante si trova a pronunciarla e la risposta che suscita nell’ascoltatore”.10 Una rigorosa definizione scientifica del significato di ogni forma linguistica di una data lingua è però impossibile, poiché richiederebbe un’esatta conoscenza scientifica del mondo del parlante. In questo senso, è quindi possibile definire esattamente il significato di una forma linguistica quando esso ha a che fare con argomenti di cui abbiamo una conoscenza scientifica. Così, ad esempio, si possono definire i nomi dei minerali in termini chimici e mineralogici come si può dire che il significato scientifico della parola sale è cloruro di sodio (NaCl), e si possono definire i nomi delle piante e degli animali per mezzo dei termini tecnici della botanica e della zoologia, ma non esiste alcun modo preciso per definire parole come amore o odio. Coloro che aderiscono alla psicologia mentalistica ritengono che, prima che una certa forma linguistica venga pronunciata, si verifichi nel parlante un processo di tipo non fisico, quindi un pensiero, un concetto, un’immagine, un sentimento, un atto di volontà, e che l’ascoltatore subisca un processo mentale, equivalente o correlato, nel ricevere le onde sonore. In questo modo, il mentalista definisce il significato di una forma linguistica come “l’evento mentale caratteristico che si verifica in ogni parlante e in ogni ascoltatore, in collegamento con la produzione o la ricezione della forma linguistica in questione”. Il parlante che pronuncia la parola mela ha avuto l’immagine mentale di una mela, e questa parola evoca un’immagine simile nella mente dell’ascoltatore. Il linguaggio, per il mentalista, è l’espressione di idee, sentimenti e volizioni. Al contrario, il meccanicista crede che immagini mentali e sentimenti siano termini popolari erroneamente usati per designare dei movimenti corporei, che, per quel che riguarda il linguaggio, possono essere divisi approssimativamente in tre tipi:
1) processi macroscopici, pressappoco gli stessi nelle diverse persone, e che avendo una certa importanza sociale, sono rappresentati da forme linguistiche convenzionali, come ho fame (ho sete, ho paura, mi dispiace, sono contento,ecc.);
2)secrezioni ghiandolari e contrazioni muscolari microscopiche che differiscono da persona a persona, e che, non possedendo un’importanza sociale immediata, non sono rappresentate da forme linguistiche convenzionali;
Roland Barthes in Elementi di semiologia approfondisce il concetto di significato mettendolo in relazione con quello di significante e successivamente di significazione. Si tratta di una prospettiva più accentuatamente linguistica rispetto alle precedentemente esaminate. Nella linguistica, infatti, la natura del significato ha dato luogo a numerose discussioni sul suo grado di “realtà”, le quali insistono concordemente sul fatto che il significato non è “una cosa”, ma una rappresentazione psichica della “cosa”. Saussure ha evidenziato la natura psichica del significato chiamandolo concetto, così il significato della parola bue non è l’animale bue, ma la sua immagine psichica. Gli stoici distinguevano la rappresentazione psichica, dalla cosa reale e dal “dicibile”; il significato, per loro, non era né la rappresentazione psichica, né la cosa reale, ma il “dicibile”. Né atto di coscienza né realtà, esso può essere definito solo all’interno del processo di significazione, in modo quasi-tautologico: è quel “qualcosa” che colui che impiega il segno intende con esso.13 Il significante, continua Barthes, è un relatum, ossia non si può separare la sua definizione da quella del significato. Il significante è un mediatore: la materia gli è necessaria, anche se non gli è però sufficiente e in semiologia anche il significato può essere mediato dalla materia delle parole. La materialità del significante costringe a distinguere materia e sostanza: la sostanza può essere immateriale (è il caso della sostanza del contenuto), mentre la sostanza del significante è sempre materiale (suoni, oggetti, immagini).14 Il segno è una porzione, una delle due facce di sonorità o visualità. La significazione può essere concepita come un processo; è l’atto che unisce il significante e il significato, il cui prodotto è il segno. Questa distinzione ha solo un valore classificatorio, in primo luogo, perché l’unione del significante e del significato non esaurisce l’atto semantico; in secondo luogo, perché per significare la mente non procede per congiunzione, ma per scomposizione. La significazione (semiosis) non unisce degli esseri unilaterali, non avvicina due termini, poiché significante e significato sono entrambi termine e rapporto ad un tempo. In Saussure il segno si presenta come l’estensione verticale di una situazione profonda: nella lingua, il significato è dietro il significante e non può essere raggiunto se non attraverso di esso. Secondo Hjelmslev, invece, c’è relazione (R) fra il piano d’espressione (E) e il piano del contenuto (C), vale a dire “E R C”. In Lacan il significante (S) è globale, costituito da una catena a vari livelli (catena metaforica): significante e significato (s) si trovano in un rapporto fluttuante e non “coincidono” se non per certi punti d’ancoraggio; la sbarretta di separazione fra il significante e il significato rappresenta la rimozione del significato (S/s). Infine, nei sistemi non isologi (ossia quelli nei quali i significati sono materializzati attraverso un altro sistema), è lecito estendere la relazione sotto forma di una equivalenza, ma non di una identità.15 La significazione dipende dalla dominazione linguistica. Un oggetto (un indumento, uno spazio, un paesaggio) significa perché interviene una lingua che ne nomina il significante e il significato. Il significante, perciò, è il mediatore materiale del significato. Partendo dal presupposto che nel linguaggio umano la scelta dei suoni non è imposta dal senso stesso (il bue non implica necessariamente il suono bue, giacché questo suono è diverso in altre lingue), Saussure aveva preso in considerazione un rapporto arbitrario fra il significante e il significato. Secondo Benveniste, invece, arbitrario è il rapporto del significante e della “cosa” significata (del suono bue e dell’animale bue), ma per Saussure il significato non è “la cosa”, bensì la rappresentazione psichica della cosa (concetto). L’associazione del suono e della rappresentazione è il frutto di un tirocinio collettivo (ad esempio, l’apprendimento della lingua francese) e questa associazione-che poi è la significazione- non è arbitraria (nessun francese è libero di modificarla), ma necessaria. Perciò nella linguistica la significazione è immotivata, anche se solo parzialmente, infatti, fra il significato e il significante c’è una certa motivazione nel caso delle onomatopee. In generale, quindi, nella lingua il nesso fra il significante e il significato è contrattuale in via di principio, ma questo contratto è collettivo, inscritto in una temporalità lunga (Saussure dice che “la lingua è sempre una eredità”) e quindi in un certo senso naturalizzato. Si dirà, perciò, che un sistema è arbitrario quando i suoi segni sono fondati non per contratto, ma per decisione unilaterale: nella lingua il segno non è arbitrario ma lo è nella Moda; e si dirà che un segno è motivato quando la relazione fra il suo significato e il suo significante è analogica; si potrà quindi avere sistemi arbitrari e motivati e altri non arbitrari e immotivati.17 In conclusione, si può dire che ogni tentativo di stabilire il referente di un segno porta a definirlo nei termini di un’entità astratta che rappresenta una convenzione culturale. Il significato di un termine (e cioè l’oggetto che il termine ‘denota’) è un’ unità culturale. “ In ogni cultura una unità culturale è semplicemente qualcosa che quella cultura ha definito come unità distinta diversa da altre e dunque può essere una persona, una località geografica, una cosa, un sentimento, una speranza, una idea, una allucinazione”.18 Nel caso di altre unità culturali si può osservare come esse varino di ‘confine’ a seconda della cultura che le organizza. Un esempio tipico è quello della nostra “neve” che nella cultura eschimese viene risolta in quattro unità corrispondenti a quattro diversi stati fisici.